Studi di psicologia americana che
hanno analizzato persone con alti livelli di soddisfazione personale, affermano
che tali individui evitano le ruminazioni e i confronti sociali.
Sul tema della ruminazione devo fare “coming
out” poiché in tale arte posso dirmi davvero maestra sin dall'età adolescenziale.
Ho sempre pensato infatti che, per
risolvere un problema, fosse necessario sviscerarlo con tutte le proprie forze
e di conseguenza sono rimasta davvero delusa quando, leggendo diversi articoli
di psicologia, ho appreso che la ruminazione è un esercizio cerebrale inutile che
allontana drasticamente dalla felicità. Tanta fatica sprecata!!
I professori di psicologia sostengono
che la mia dedizione non contribuisca a risolvere il problema e renda
ipersensibili di fronte ai commenti altrui e alla mancanza di aiuto altrui
(cosa che in effetti è vera).
Tra l'altro è un concetto tipicamente
femminile. E’ stato stabilito che gli uomini istintivamente tendono, di fronte
a un problema, ad adottare il sistema della distrazione cioè pensano ad altro,
aspettando che la soluzione del problema si presenti loro.
E io che avevo considerato questo
atteggiamento dall'alto verso il basso alla fine ho dovuto ammettere i benefici
del “prendersi una pausa”.
La ruminazione e il senso di vergogna
per i propri errori sono parenti stretti del confronto sociale.
È difficile in una società fatta di
globalizzazione, pubblicità e show televisivi evitare il confronto con gli
altri.
Al tempo stesso lavorare su se stessi
per uniformarsi alla massa può essere molto faticoso. Poiché essere donne,
fidanzate, mogli, madri, professioniste perfette è impossibile i nostri
tentativi sono destinati alla sconfitta. E invece di consolarci leccandoci le
ferite il senso di vergogna per i nostri errori ci da il colpo di grazia.
Chissà se esiste una motivazione
biologica per cui ci creiamo tanti problemi senza motivo.
L’unica chiave vincente è lasciare
andare il perfezionista che è in noi e smettere di rincorrere chi dovremmo
essere per amare chi siamo.
Questo non significa non voler essere
persone migliori e capire la differenza fra lavorare sodo e cercare la
perfezione è fondamentale per vivere una vita felice.
Chiariamo che il perfezionista non
cerca di fare del proprio meglio, il perfezionista è convinto che solo in una
realtà perfetta lui possa essere felice.
Devo dire che invidio chi in maniera inconsapevole
vive una vita autentica senza preoccuparsi del giudizio altrui.
Dopo aver archiviato il problema della
ruminazione mi considero comunque fortunata a praticare l'autenticità in
maniera consapevole, diciamo con le targhe alterne, poiché a volte quando lo
stress raggiunge le stelle, ho delle ricadute di perfezionismo.
Cosa c’entra il perfezionismo con il
confronto sociale? Moltissimo.
Il perfezionismo ostacola la felicità
e conduce alla paralisi poiché il perfezionista spesso prova vergogna, si sente
giudicato e non all'altezza.
Per vincere il perfezionismo dobbiamo
riconoscere la nostra vulnerabilità, dimenticare di vergognarci dei nostri
errori e praticare l’auto-compassione.
Auto-compassione non significa
auto-commiserarsi, ma semplicemente impegnarsi al massimo senza angosciarsi se
il risultato non è impeccabile.
Essere gentili con noi stessi e con
gli altri è la base per pretendere la gentilezza dagli altri.
Per ammettere di essere imperfetti ci
vuole coraggio e al tempo stesso mettere dei paletti fra noi e gli altri per
proteggere la propria autenticità; alla fine però dovremo ammettere di essere
comunque degli individui vulnerabili con punti di forza e di punti deboli. Ameremo
noi stessi e gli altri a prescindere dall’imperfezione che ci circonda
Dr.ssa Viviana De Pace, Ginecologa
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