lunedì 24 agosto 2015

La preparazione al parto...
Se vi dicessi "PARTO" cosa mi direste? Qual è il primo aggettivo, la prima emozione, il primo stato d'animo che vi suscita questa parola? Che pensieri vi attraversano la mente?
La tocofobia(o paura incontrollata del parto) è figlia di una cattiva preparazione al parto o meglio di una certa preparazione al parto. 
Scrive Leboyer  alla donna che chiede :"Che cosa devo fare per partorire bene?", Michel Odent risponde:"Dimentica tutto quello che hai imparato." Questa è una critica alla preparazione "scientifica" al parto che si è andata affermando ed è ancora presente ai nostri giorni.
Chi lavora come me nel settore materno-infantile si rende conto che l'istituzione non è in grado di contenere la paura che può aleggiare in una sala parto, ma anzi è essa stessa fonte di paura. E come ben sappiamo la paura genera adrenalina, che è nemica dell'ossitocina e non le consente di fare il suo corso e permettere alla madre di rilassarsi e abbandonarsi.
Come fare per vincere questa "paura"? Innanzitutto correggendo i termini con i quali ci esprimiamo perchè il condizionamento culturale è molto forte. Ad esempio chiamiamo l'andamento del parto "travaglio", che in italiano vuol dire "grave pertubazione e afflizione", non travailler francese che vuol dire semplicemente "lavorare". Le contrazioni si chiamano "dolori", a prescindere dal  momento nel quale si presentano nonostante sappiamo che quelle iniziali non sono dolorose. Siamo concentrati sul dolore e sulla sofferenza . Ma qual'è il ruolo del dolore?E' davvero necessario?La funzione genetica del dolore è quella di proteggere il corpo da danni, dando l'allarme quando c'è un pericolo. Ma quando nasce un bambino c'è un'aggressione in atto visto che parliamo di dolore? In realtà, da un punto di vista strettamente fisiologico, il corpo del bambino aggredisce l'integrità del corpo materno, attivando quindi un'allarme e il corpo della madre inizia ad attivare reazioni di difesa come cambiamenti ormonali, modificazioni fisiche e movimento  , perchè ogni volta che c'è una grande forza in atto, l'immobilità è impensabile! Il dolore inoltre attiva la cascata di ormoni necessaria per uno svolgimento fisiologico del parto. E poi il dolore spinge verso la separazione dal bambino, che probabilmente non verrebbe fatta spontaneamente. E' dolore perchè bisogna distaccarsi da ciò che è parte di noi, ma contemporaneamente è altro. In una mia esperienza di parto, la donna dopo lunghe ore di travaglio ad un certo punto disse: "Ti lascio andare. Vieni al mondo." , e solo allora la sua bambina nacque. Il dolore trasforma, mette alla prova la nostra forza,crea quell'esperienza limite che porterà alla nascita non solo di nostro figlio, ma di una MADRE.  Ma è giusto comunque attribuire a questo viaggio così magico il termine "dolore da parto"?
Non sarebbe più giusto definirlo, come fanno in altre culture, "onda del parto" dalla quale ci dovremmo far travolgere e che permettere al bambino di venire al mondo? E partendo da questo cambio di terminologia, non potremmo dar vita ad una rivoluzione culturale e sociale dove vinciamo la "paura" ridando fiducia nella preparazione della donna a partorire e del bambino a nascere? Una preparazione dove la donna è ascoltata, accolta e sostenuta, avendo l'orecchio sgombro da pregiudizi e l'occhio attento dello scienziato come dice Leboyer. Ed infine non sarebbe giusto restituire al parto, attraverso la sua preparazione, la sua veste di evento fisiologico, esattamente come lo è inghiottire, andare di corpo, masticare, allattare, camminare?

Dott.ssa  Maria Luisa Pesce, Ostetrica

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